(Roberto de Mattei, Corrispondenzaromana.it, 28 marzo 2018)
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan festeggia ufficialmente,
ormai da qualche anno, la data del 29 maggio 1453 che vide la conquista
di Costantinopoli da parte di Maometto II, e quella del 26 agosto 1071,
quando a Manzinkert i Selgiuchidi di Alp Arslān sconfissero l’esercito
bizantino e fondarono il primo Stato turco in Anatolia. Immaginiamo che
l’Unione Europea proponesse di celebrare solennemente la vittoria di
Lepanto del 1571 o la liberazione di Vienna dai Turchi del 1683.
I mass-media di tutto il mondo, controllati dai “poteri forti” che
guidano la politica mondiale, protesterebbero con tutta la loro forza
contro questo atto provocatorio e islamofobo. Ma l’Unione Europea non
prenderebbe mai una simile iniziativa, perché nel suo atto costitutivo,
il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ha definitivamente
rinunciato ad ogni riferimento alle proprie radici storiche.
E mentre Erdogan rivendica con orgoglio un’identità ottomana, che si è
definita contro l’Europa cristiana, l’Unione Europea sostituisce il
richiamo alle radici cristiane con l’ideologia del multiculturalismo e
dell’accoglienza del migrante. L’offensiva dell’Islam contro l’Europa,
nel corso dei secoli, si è sviluppata secondo due linee direttrici ed è
stata condotta da due popoli diversi: gli Arabi da Sud Ovest e i Turchi
da Sud Est.
Gli Arabi, dopo aver conquistato il Nord-Africa, invaso la Spagna e
oltrepassato i Pirenei, furono fermati da Carlo Martello a Poitiers nel
732. Da allora arretrarono progressivamente, per essere definitivamente
espulsi dalla penisola iberica nel 1492. I Turchi, dopo aver soggiogato
l’Impero bizantino e parte di quello asburgico, furono fermati a Vienna
nel 1683 da Giovanni Sobieski e a Belgrado nel 1717 da Eugenio di
Savoia.
Oggi, l’avanzata islamica segue le medesime direzioni. A Sud Ovest, è
promossa da paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, che finanziano i
“Fratelli Musulmani” e la costruzione di una fitta rete di Moschee in
tutta Europa. A Sud Est la Turchia esige di entrare nell’Unione Europea,
minacciando, in caso contrario, di inondare il nostro continente con
milioni di migranti.
Il progetto più pericoloso è proprio quello di Erdogan, che aspira a
divenire il “sultano” di un nuovo impero ottomano che dispiega tutta la
sua forza dal Medio Oriente all’Asia centrale.
L’Impero turco, tra il 1299 e il 1923, arrivò ad abbracciare un vasto
territorio che dalle coste nordafricane arrivava al Caucaso e alle
porte dell’Italia e dell’Austria. L’obiettivo di Erdogan è quello di
fare della Turchia il paese guida di un’area ancora più vasta, che si
allarga ad Est del mar Caspio, dove cinque nuove repubbliche nate dalla
dissoluzione dell’Unione Sovietica – Azerbaigian, Turkmenistan,
Uzbekistan, Kazakistan e Kirghistan – costituiscono il nucleo di una
comunità in cui la religione islamica si fonde con un’identità
etnico-linguistica turcofona.
È a partire dagli anni Novanta che i turchi hanno iniziato a presentare ai «200 milioni di loro connazionali» degli Stati turcofoni dell’Est la necessità di costituire «una comunità di Stati dall’Adriatico alla Grande Muraglia cinese»,
secondo la formula dell’allora presidente Halil Turgut Özal
(1927-1993), che amava parlare dell’arrivo di “un secolo turco”. Erdogan
ha ripreso queste idee, che sono state sviluppate nell’ultimo decennio
dal suo Ministro degli Esteri Davutoğlu, fino al suo licenziamento nel
2016.
Il fondatore della Turchia moderna, laica e secolarizzata, Mustafa
Kemal Atatürk, vedeva nell’Islam un fattore di destabilizzazione. I suoi
successori, da Özal a Erdogan, ritengono al contrario che l’Islam possa
costituire un elemento di aggregazione e di coesione sociale. Il
sistema educativo è un pilastro del progetto di Erdogan, sia per
estendere la sharia, anche al di fuori dei confini turchi, attraverso la Diyanet,
il ministero degli Affari religiosi, sia per imporre, attraverso il
ministero dell’Istruzione, l’identità linguistica, cancellata dalla
rivoluzione kemalista.
La reislamizzazione di questi territori, attraverso la costruzione di
moschee e il sostegno offerto al mantenimento degli Imam, si è
accompagnata agli investimenti culturali per reintrodurre, nelle scuole e
nelle università, lo studio della cultura ottomana. Riferendosi ai
tempi dell’Impero ottomano, Erdogan ha affermato: «Chi pensa che ci
siamo dimenticati delle terre dalle quali ci ritirammo in lacrime
cent’anni fa, si sbaglia. Diciamo ogni volta che si presenta l’occasione
che la Siria, l’Iraq e altri luoghi sulla mappa geografica dei nostri
cuori non sono diversi dalla nostra patria. Stiamo lottando affinché una
bandiera straniera non venga sventolata in alcun posto dove sia
recitato un adhan [la chiamata islamica alla preghiera nelle moschee].
Quello che abbiamo fatto finora è nulla in confronto agli attacchi ancor
più grandi che stiamo pianificando per i prossimi giorni, inshallah [se
Allah lo vuole]».
Il primo obiettivo dichiarato da Erdogan è la riconquista delle isole
greche del Mare Egeo. Il leader turco ha detto che nel 1923 la Turchia «ha svenduto» le isole greche che «erano nostre» e dove «ci sono ancora le nostre moschee, i nostri santuari».
Erdogan ha indicato come scadenza, il 2023, centesimo anniversario
della Repubblica turca, e del Trattato di Losanna, che ha stabilito le
frontiere di cui ora egli chiede la revisione. Non sono solo parole.
Nel 1974 la Turchia ha occupato manu militari una parte
dell’isola di Cipro e oggi, con il pretesto della “guerra al
terrorismo”, ha conquistato un’ampia striscia di territorio siriano
lungo il confine dei due paesi. Ma le minacce più gravi riguardano il
futuro dell’Europa, che Erdogan immagina sottomessa al suo Impero. «L’Europa sarà musulmana, se Allah vuole»,
ha annunciato il deputato del suo partito (AKP), Alparslan Kavaklioglu,
ripetendo quanto lo stesso Erdogan ha apertamente dichiarato: «i musulmani sono il futuro dell’Europa». «La
fortuna e la ricchezza del mondo si spostano dall’Occidente verso
l’Oriente. L’Europa attraversa un periodo che si può definire
straordinario. La sua popolazione diminuisce e invecchia. Ha una
popolazione molto anziana. Dunque, delle persone vengono dall’estero per
trovarvi lavoro. Ma l’Europa ha questo problema: che tutti i nuovi
arrivati sono musulmani. Vengono dal Marocco, dalla Tunisia,
dall’Algeria, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Irak, dall’Iran,
dalla Siria e dalla Turchia. Coloro che provengono da questi paesi sono
musulmani. Siamo arrivati al punto in cui il nome più ricorrente a
Bruxelles, in Belgio, è Mohammed. Il secondo nome più diffuso è Melih,
il terzo Aisha».
Erdogan sa che Bruxelles, la capitale dell’Unione Europea, è la città
dove l’Islam è già oggi la prima religione, un cittadino su tre è
musulmano, e il nome più frequente all’anagrafe fra i nuovi residenti è
Mohammed.
La sua arma, come quella dei Fratelli Musulmani, è la conquista
demografica dell’Europa nei prossimi decenni. Ma già adesso, se la
Turchia entrasse in Europa, sarebbe la prima nazione dell’Unione, per la
sua popolazione, comprendente anche i suoi cittadini che già risiedono
nel continente europeo.
Va ricordato infatti che sul piano numerico, i turchi rappresentano
la seconda comunità in Germania, Paesi Bassi, Austria, Danimarca e
Bulgaria e Erdogan li esorta a non perdere la loro identità. «I turchi all’estero dovrebbero restare turchi a prescindere dalla loro cittadinanza», ha proclamato il sultano, arrivando a definire l’assimilazione un «crimine contro l’umanità».
Di fronte all’arroganza di Erdogan, l’Europa non solo non agisce, ma
tace. Tace sulla violazione dei diritti umani in Turchia, tace
sull’invasione del Kurdistan siriano, tace sul blocco navale imposto
alla piattaforma dell’ENI a Cipro, tace sulle minacce contro le isole
greche. E sull’annuncio della prossima islamizzazione del nostro
continente, tace non solo l’Unione Europea, ma anche la Chiesa. La forza
di Erdogan è questo silenzio colpevole.