President Artur Mas. Photo Il Manifiesto.info
Spagna. Sotto accusa per il referendum dello scorso 9 novembre, il leader di Junts pel Sì, in difficoltà per mancanza di appoggi parlamentari, riceve un «aiutino» da Madrid
30.09.2015
Ancora una volta, sembra che il governo di Madrid stia cercando
in tutti i modi di far aumentare il numero di catalani pronti
a stracciare la carta d’identità spagnola, oggi certificato nel
47.8% degli elettori in Catalogna.
Neanche il tempo di diradare la polvere della battaglia elettorale che arriva puntuale l’arma più efficace per rafforzare un presidente Artur Mas indebolito dalla mancanza di appoggi parlamentari sufficienti per coronare il suo sogno di trasformarsi per la terza volta in President de la Generalitat de Catalunya. Proprio quando la lista Junts pel Sí dietro le quinte si stava per arrendere all’eventualità di dover trovare un altro candidato più gradito al movimento indipendentista di sinistra della Cup, arriva l’annuncio che Mas, assieme all’ex vicepresidente del governo catalano Joana Ortega (che è uscita dal governo quando il partito alleato di Mas, Unió, ha deciso di abbandonare la coalizione alcuni mesi fa) e all’ancora in carica ministra dell’istruzione Irene Rigau devono presentarsi a dichiarare come imputati davanti al giudice il 15 ottobre.
Tra l’altro, una data proprio inopportuna: il 15 ottobre 1940 le
truppe franchiste fucilarono nel castello di Montjuic l’ultimo
presidente democratico catalano prima dell’avvento della
dittatura, Lluís Companys, esponente di Esquerra Republicana, che
avevano catturato dall’esilio e torturato.
La vicenda giudiziale risale al famoso referendum del 9 novembre
scorso. Il parlamento catalano con una legge per istituire
consulte popolari l’aveva reso possibile, ma il governo di Madrid
l’aveva impugnato ben due volte per cercar di impedirne la
celebrazione. Alla fine, il governo di Mas era ricorso all’escamotage
di non “convocare” proprio nulla, ma di fatto quasi 2 milioni e mezzo
di catalani si erano recati “informalmente” alle urne per dire come
la pensavano.
Il governo del Pp aveva reagito denunciando Mas e i due membri del
suo governo al procuratore generale dello Stato (Fiscalía del
Estado) per i delitti di «disobbedienza grave, prevaricazione,
appropriazione indebita e usurpazione di funzioni» per aver
«disobbedito» all’ordine del Tribunale Costituzionale di non
celebrare il referendum. Assieme al presidente catalano, la
vicepresidente e la ministra dell’istruzione (per aver favorito
l’utilizzo di locali pubblici, cioè le scuole). Reati molto gravi, che
potrebbero portare all’inabilitazione che impedirebbe a Mas e alle
altre due imputate di esercitare cariche pubbliche fino a dieci
anni.
Tra l’altro, il procuratore generale catalano, assieme ai nove
giudici che compongono la procura generale catalana
(gerarchicamente sottoposta a quella dello stato) si erano
rifiutati di imputare i membri dell’esecutivo di Barcellona,
e hanno dovuto accettare l’imputazione per ordine del Fiscal General
del Estado Eduardo Torres-Dulce, come no, scelto direttamente
dall’esecutivo Rajoy.
Il ministro della Giustizia del governo spagnolo, Rafael Català,
ha ammesso che si è attesa questa settimana «per non interferire»
con le elezioni.
Le reazioni a Barcellona non si sono fatte attendere. «Anomalia
democratica», l’ha chiamata la portavoce dell’esecutivo catalano
Neus Munté; Esquerra Republicana ha detto che «è un’ulteriore prova
che dobbiamo essere indipendenti».
La Cup ha parlato di uno stato «inquisitoriale» e ha espresso
solidarietà a Mas, parlando di due milioni di disobbedienti
«felicissimi» di essere imputati anche loro; la sindaca di
Barcellona Ada Colau parla di «disprezzo per la democrazia». Per
i socialisti catalani si tratta di una «imputazione politica».
Íñigo Errejón di Podemos per twitter sostiene che Mas «dovrebbe
rendere conto della corruzione e dei tagli, non per aver fatto votare
la gente». Intanto il conto alla rovescia è cominciato: al massimo
entro un mese si deve costituire il nuovo parlamento.
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